Chi è Riccardo Ghidotti

È poeta, scrittore e curatore di numerose opere di carattere storico, divulgativo e letterario. Nel 1996, per meriti culturali, è stato insignito del titolo di Cavaliere Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. È presidente degli Amici dei Musei di Padova e provincia e anche dell’Associazione “Monselice città dei cammini”. E prima ancora di ricoprire il ruolo di presidente della giuria del Concorso Letterario Nazionale sulle Pari Opportunità con tema “Donna chi sei”, è stato per oltre un decennio componente della giuria del prestigioso Premio Brunacci per la storia veneta.

A proposito di emozioni …

Quando sono stato a Modica, in Sicilia, ho visitato l’abitazione di un grande poeta che ha vinto il Premio Nobel, che è Salvatore Quasimodo. Quando sono entrato nella casa, alla guida turistica ho detto di aver conosciuto il figlio di Quasimodo a Milano, in occasione di un concorso alla quale avevo partecipato con alcune poesie – e ho anche vinto un premio – e lì come presidente della giuria c’era proprio lui, Alessandro. E mentre continuavo la visita della casa, a un certo punto ho visto che in uno scritto veniva citata una mia poesia che si trova anche nella mia raccolta Come morbide rose. Poco dopo, siamo entrati nello studio e la guida, mi dice: “Non vuole sedersi alla scrivania?” – era proprio quella dove si è seduto Quasimodo. Pensa, per me andare a casa di un poeta e scrittore è come andare in un santuario.

E poi la guida mi dice: “Perché vuole sedersi?” e allora io le ho detto: “Vorrei vivere l’emozione di sedermi sulla scrivania dove si è seduto un Nobel della letteratura come Quasimodo”. E allora lei mi dice: “Si emozioni pure, si sieda”. Mi palpitava il cuore. Dopo 70 anni, sedersi a quella scrivania e stare in quello studio dove si è seduto Salvatore Quasimodo e sapere che proprio lì ha scritto “Ognuno sta solo sul cuore della terra/ trafitto di un raggio di sole/ ed è subito sera”. E io là sulla scrivania dove lui ha messo a posto quel testo. Queste sono emozioni. Parlare di emozioni non è fare poesia melassa. L’emozione deve essere un rimando alle cose, andare come un punteruolo alle cose vere, non deve essere solo una pennellata superficiale che non scalfisce nessuno. La poesia deve scalfire.

Nella nostra videointervista lei ha parlato di Montale, come mai questa scelta?

Ricordo Montale, da poco insignito del Premio Nobel, quando alla giornalista che gli chiese: “Lei come ha potuto fare il poeta e prendere il Nobel?” – stiamo parlando di un autore che nella sua vita ha fatto tantissime cose – lui le rispose: “Noi non siamo una fabbrica dove dobbiamo pianificare tutto, noi dobbiamo seguire le cose utili che è l’intimo, la poesia nei ritagli di tempo in cui non perdiamo l’attenzione verso l’inutile.”

È un continuo camminare, metaforicamente con l’animo e con la curiosità. Chi sta fermo si siede. Nulla ti viene addosso o ti si precipita addosso e ti riempie come un imbuto in una bottiglia. Devi cercare e camminare verso qualcosa. Se tu stai fermo non sai cosa c’è dietro l’angolo – non lo scoprirai mai. E non progredirai mai se non vai verso gli altri. Però devi già sapere dove mettere i piedi. Tu intraprendi un cammino e il passo lo devi segnare tu con la tua misura. Perché un conto è andare in una direzione e un conto è andare nell’altra – se capisci questo ecco allora che c’è il discernimento. C’è una poesia bellissima di Montale, di straordinaria attualità, che chiarisce bene cosa voglio dire:

Sono venuto al mondo

Sono venuto al mondo in una stagione calma.

Molte porte si aprivano che ora si sono chiuse.

L’Alma Mater dormiva. Chi ha deciso

di risvegliarla?

Eppure

non furono così orrendi gli uragani del poi

Se ancora si poteva andare, tenersi per mano,

riconoscersi.

E se non era facile muoversi tra gli eroi

della guerra, del vizio, della jattura,

essi avevano un viso, ora non c’è neppure

il modo di evitare le trappole. Sono troppe.

Le infinite chiusure e aperture

possono avere un senso per chi è dalla parte

che sola conta, del burattinaio.

Ma quello non domanda la collaborazione

di chi ignora i suoi fini e la sua arte…

( Satura, raccolta del 1971)

Qual è oggi l’importanza di un concorso letterario per uno scrittore e un poeta?

Beh! Intanto, per l’importanza del confrontarsi con gli altri e con una giuria che ti giudica. Ti permette di sapere che dovresti essere il migliore. Questa è una spinta molto funzionale al progredire. A volte una poesia può essere anche strabella ma magari non è piaciuta. Però mai desistere. È importante partecipare perché partecipare vuol dire mettersi in discussione, mettersi in cammino. C’è il cammino del viaggio, come dicevo prima, ma c’è anche il cammino della propria riscoperta interiore attraverso lo scritto che tu sai produrre. Però ricordiamoci, bisogna conoscere la lingua. Perché non puoi mettere una frase strampalata. Noi abbiamo una struttura linguistica che ci permette, fortunatamente, di trovare un criterio di comunicazione inequivocabile. E allora ecco che i termini vanno studiati, vanno cercati, vanno messi al punto giusto, la struttura formale della frase deve essere giusta e ovviamente quello è il primo passo. Si impara a scrivere. I concorsi servono anche a quello; si mette alla prova ciò che hai imparato. E lo scrittore e il poeta che partecipa a un concorso mostra un alto senso di umiltà ma anche di arditezza. È questa la bellezza. Perché osi. Bisogna uscire dal proprio guscio, confrontarsi con gli altri là dove è possibile. Ma ciò che produci deve essere come un’impronta di te stesso che depositi su un campo e che lascia il segno – qualcun altro potrebbe seguirti. Il concorso è quindi come punteggiare un periodo della tua vita: scrivi qualcosa e lo fai confrontare.

Che ricordo ha della prima edizione del concorso letterario lei che è stato anche il presidente della giuria?

Positiva. Come positivo è stato però la partecipazione dei concorrenti, così innumerevoli. Ci ha permesso di capire che c’è tanto bisogno di confrontarsi. E nonostante il tema Donna chi sei, così ampio e aperto, gli elaborati erano tutti in tema.

A proposito, ha qualcosa da aggiungere sul tema della seconda edizione, “Emozioni”?

Sarà un grande impegno per la giuria. Io ricordo la penna blu e la penna rossa dei miei insegnanti dove non c’era la penna rossa o la penna blu c’era quella nera che serviva all’insegnante per scrivere “sei fuori tema”. Essere fuori tema è difficile in un concorso così perché tutto è in tema, e questo rende il ruolo molto difficile alla giuria perché obbliga a far sintesi su un argomento.

Però “Emozioni” è inequivocabile è vero che è ampio ma tu avverti subito se in un testo vai al dunque e parli delle emozioni o di sciocchezze o di altre cose pur notevoli e importanti ma che non trattano di emozioni. Ad esempio, io posso anche tenere in piedi un racconto sulle abilità di una persona, alla fine lo leggo “Bello, scritto bene “ però mi parla delle abilità. Non è quello il tema.

L’emozione invece potrebbe essere un goal a un mondiale di calcio. Pensa al grido liberatorio dagli spalti. Puoi raccontare questa vicenda ambientata in un campo di calcio perché il papà ti ha portato a vedere la partita della Nazionale e per te è una cosa emozionante allora capisci che lì c’è un’emozione e non è più un racconto su una partita di calcio. Per cui è qui che sarà il difficile per la giuria, che sono certo non mancherà di competenza anche quest’anno.

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