Terza Edizione del Concorso Letterario Nazionale di Monselice “Monselice per le Pari Opportunità – Davanti allo specchio: immagine di lei

“Sono in molti a dire che Io specchio è un ingannatore, un manipofatore, un’iltusiane. In realtà non sbaglia mai. Scegliamo noi di distorcere quello che vediamo riflesso e decidiamo di precipitore in un pozzo senza fondo. Il cambiamento avviene solo nel momento in cui capiamo che il corpo che ci è stato dato è la nostra casa e dobbiamo curarlo come tale. A nessuno piace una casa in disordine, no?”

Decisi di iniziare con queste parole il percorso all’interno di una comunità per ragazzi difficili in cui ero stata mandata. Sentivo l’importanza del dovere che mi avevano affidato e scelsi di non comportarmi come una psicologa qualunque, dato che mi avrebbero pregiudicata all’istante come una strizzacervelli con cuì non avrebbero mai parlato apertamente, ma come un’amica che si era messa in gioco e valeva lottare solo per il loro bene.
Ci eravamo disposti a cerchio nella stanza, cosicché riuscissi a vedere i volti di tutti, e continuai a parlare: ”Per il primo giorno qui, ho voluto portarvi una specchio che è molto importante per me, anche se per ora non vi dirò il motivo. L’unica cosa che dovrete fare è osservarvi per un attimo e passarvelo, tutto con il massimo della libertà. Una volta fatto, vi darò questo piccolo quadernino in cui potrete scrivere cosa vedete nello specchio, ciò che provate mentre vi guardate, o qualsiasi altra cosa vi passi per la “mente.”


Mi guardarono tutti un po’ scettici, come avevo previsto.


“Ma state tranquilli. Tutto ciò che scriverete non verrà letto da nessuno, se non da me. Siamo qui per aiutarci a vicenda e nemmeno uno di voi verrà giudicato o umiliato per le emozioni che gli balenano dentro. Sarete completamente liberi.”


Poi un ragazzo, che sembrava particolarmente annoiato dall’inizio, mi disse: ”Come facciamo a fidarci di Iei? Come posso sapere se non farà leggere le mie cose al primo che capita? Io non ci sto.”

Molti annuirono alle sue parole, poi replicai: “Perché farò il vostro stesso gioco e scriverò anch’io ciò che vedo. Nessuno vorrebbe venire a sapere delle fragilità o delle debolezze di una psicologa, a sbaglio? Mi metterò alla prova come farete, se vorrete, tutti voi.”


Il ragazzo mi sembrò abbastanza soddisfatto dalla risposta, cosi presi il piccolo specchio d’oro che avevo tunuto in mano fino a quel momento e lo passaì ad una ragazza che era seduta vicino a me. Infine mi alzai e posai il quadernino sul tavolino vicino all’entrata. Tornando dai ragazzi, conclusi: “Scrivete quello che sentite dentro, non lasciatevi suggestionare dalla paura o da ciò che potrebbero pensare gli altri. Ascoltate voi stessi e non sbaglierete mai.“

Ormai passati alcuni giorni, quando tutti avevano terminata di scrivere, decisi di chiudermi in ufficio e di leggere i loro pensieri. Inizialmente la paura aveva prevalso, temevo di non essere in grado di aiutare tutti, a di essere addirittura inutile ai loro occhi poiché molte volte i ricordi intrusivi sono più potenti di ogni altra cosa, però mi feci coraggio e iniziai con la prima ragazza che aveva deciso di scrivere. Si chiamava Deva:

”Caro diario, voglio iniziare proprio così perché mi ricorda quando da piccola passavo le ore a
scrivere le mie giornate su un quadernino giallo che mi aveva regalato la mamma.
All‘inizio quest’idea mi sembrava un pa’ assurda, non capivo il motivo di questo gioco e sentivo una strana paura dentro di me. Ma stanotte ho pensato e ripensato a ciò che sono diventata, ho pensato alla bambina che ero e che forse oggi non si riconoscerebbe nemmeno se si guardasse allo specchio.
Nel momento in cui ho visto il mio riflesso, il primo pensiero che mi è balenato nella mente è stato “che paura”. E’ spaventoso che una ragazza di 17 anni lo pensi, è vero, ma non posso effettivarnente darmene una colpa. Se devo essere sincera, l’unico dettaglio che ho visto per primo sono stati i miei occhi marroni scavati ed estremamente stanchi. Mi ricordo che da bambina li adoravo così tanto perché mi piaceva quella piccola luce che brillava nelle pupille, tanto che passavo le ore ad osservarli. Ora, invece, lo specchio è diventato una sorta di nemico per me. Potrei definirlo il mio vaso di Pandora. Vedermici di nuovo dopo un bel paò di tempo mi ha fatta un certo effetto.
A lei che sta leggendo, deve sapere che il mio problema è iniziato quando avevo solo 14 anni. Ero innocente, influenzabile ed estremamente fragile. Faccio parte di una famiglia benestante e non mi è mai mancato niente, ma da alcuni commenti insignificanti di coloro che chiamavo amici, è scattato qualcosa dentra di me e ho iniziato a non mangiare più. Mi chiudevo in camera e dormivo, dormivo. dormivo. I figli degli alto borghesi possono essere più crudeli di quanto si pensi, e io ne era stata la vittima sacrificale.
Per tre anni è stato solo un capitombolo che diventava sempre più deleterio e non avevo niente a cui aggrapparmi. Ora sicuramente si chiederà se i miei genitori fossero presenti e la risposta è si, ma in questi casi non ti curi di coloro che cercano di starti vicino. In quel periodo vivevo in una scatola di vetro, circondata solo dal mio riflesso che ai miei occhi non andava mai bene. Ogni giorno nascevano più insicurezze, più paranoie, più fragilità, e nel mentre io sprofondavo.


Toccai il fondo quando una mattina a scuola svenni in classe. Mi portarono d’urgenza aIl‘ospedaIe e venni messa davanti ad una realtà che non riuscivo ad accettare. Da Iì in poi il senso di colpa prevalse su qualsiasi cosa, mi sentivo debole e inutile verso tutti quelli che volevano aiutarmi. Mi ci sento ancora adesso, come quando mia mamma viene a trovarmi, sperando di vedere un miglioramento e, invece, vede solo una figlia distrutta e irriconoscibile che si è rovinata con le sue stesse mani. Ecco perché la specchio è il mio peggior nemico. Per ora posso solo dire che ciò che vedo è una ragazza fragile che, come tante altre, è stata gettata in una dolorosa realtà troppo grande e trappo difficile da affrontare da sola.
Sperando di non averle fatto pena, la ringrazio di avermi ascaltato.”

Deva era riuscita a spìegare con parole cosi belle e ben scelte un problema che può essere fatale. II fatto che Iei abbia avuto il coraggio di scrivermi tutto il suo dolore mi allietava, perché iniziavo ad avere fiducia in quello che gli avevo proposto.
Comunque, andai avanti, stavolta era il turno di un ragazzo, si chiamava Diego:

“Un ragazzo senza volto. Indefinito, generico, vago, immateriale. Questo è ciò che vedo nello specchio.
Non mi sento di questo mondo e non desidero farne parte. Credo che non potrò mai sentirmi a mio agio in nessun posto, e convivo con questo turbamento sin da quando sono nato.

Dentro di me c’è il vuoto, perchè crescere e imparare a vivere avendo come unico espediente la criminalità non è proprio l’infanzia che un bambino desidererebbe.
Non ho moi avuto niente. Quando avevo due anni mi sono trasferito con i miei genitori in una catapecchia di periferia, che è ancora il luogo in cui vìvo oggi. Non la definisco casa perché odiavo e odio tutt’ora stare in quel buco abbandonato daII‘intera società. I miei genitori sono sempre stati assenti – chissà cosa stanno facendo in questo momento – e ho passato tutta la mia infanzia dalla vecchia vicina che si occupava del mio fratellino più piccolo. L’unica casa in cui trovo conforto è lui. E’ il solo a venirmi a trovare tutti i giorni senza fare il minimo ritardo, ed è l’unico a non dirmi le solite cose banali che chiunque direbbe a un ragazzo di comunità. Mi fa sorridere, solo lui ci riesce.
” Quando poi sono cresciuto i problemi si sono ingigantiti, e non poco. Ho iniziato ad entrare in giri pericolosi del mio quartiere, perché nessuno mi ha mai insegnato i guiai in cui sarei potuto finire, e ho rischiato di morire per overdose all’età di quindici anni, poi di nuovo o diciassette.
Non mi importa cosa pensi la gente, se sono uno scapestrato, uno spregiudicato o un soggetto
pericoloso. Nessuno può permettersi di giudicare i miei passi, le mie cadute e i miei sbagli. La strada fa paura e te ne rendi conto solo quando la vivi sulla tua pelle. Purtroppo gente come noi viene buttata nel dimenticatoio come se fosse spazzatura; tuttavia l’unica possibile soluzione è trovare una via più semplice.
E’ vero, qui mi sento oppresso e tormentato, ma l’unico modo per mettere in ordine quello che ho
dentro è stare Iontano dal caos che sta lì fuori.”

P.S. Comunque spero mi abbia riconosciuto.

Diego, il ragazzo che durante l’incontro era intervenuto. Capii perché non si fidava. Non ha mai avuto nessuno di cui fidarsi veramente e purtroppo non è mai stato ricompensato.
Mi feci coraggio e proseguii la lettura. Questa ragazza si chiamava Cloe:

“Bella. Mi vedo bella. Il mio nome significa germoglio nascente e mi identifica esattamente così, perché non mi vergogno affatto del motivo per cui sono qui, ma sona pronta a rinascere. Mi sento bella anche se questa serenità, che prima sul mio viso era più visibile, è stata turbata spesso.
Gli uomini sanno essere stupefacenti, ma anche brutali quando l’istinto è più potente della ragione, e molte volte è questa la Ioro rovina.
Stavo crescendo velocemente durante la pubertà e ne ero felice perché mi sentivo più grande, più
matura, più bella. L’innocenza e la purezza di una ragazzina però aveva attirato un uomo, di cui mi fidavo ciecamente. Cosa mai avrei dovuto pensare? Sono stata io la vittima della violenza incondizionata di un inetto, data solo dalla sua smania e dal suo impeto incontrollabile.
All’inizio eravamo solo noi due a saperlo, mi vergognavo parecchio e pensavo che fosse stato lo sbaglio di una volta. Ma ve ne fu un’altra, poi un’altra e un‘altra ancora.
Il masso che mi si era formato nello stomaco, però, era diventato troppo pesante, i sensi di colpa mi stavano lentamente lacerando e mi sentivo quasi sporca dentro, come se fosse mia la colpa. Alla fine, un casuale pomeriggio d’estate, buttai fuori tutto davanti a mia madre. Pensai al candore e alla semplicità che mi caratterizzava, tutto spazzato via in un attimo.
Le risparmierò tutto l’odio che provo nei confronti di quell‘uomo ripugnante, perché almeno per oggi voglio parlare di me e della forza che ho tutti i giorni nel guardarmi allo specchio e dire che non importa, perché il passato non mi determina e molte volte bisogna solo lasciarlo alle spalle senza più guardarmi indietro.”

La forza delle parole di Cloe mi spinsero a scrivere un breve pensiero anche da parte mia, d’altronde era una promessa e non intendevo deluderli dopo che avevano deciso volontariamente di condividere i loro demoni interiori con una sconosciuta qualsiasi. Iniziai così:
“Caro specchio, qui davanti a me vedo una donna. Una semplice donna.
Prima di arrivare in questa comunità di ragazzi meravigliosi, sono uscita dalI‘università con il massimo dei voti, ho fatto un master, ho studiato duramente per anni e continuo a studiare ancora oggi, ma nonostante questo ho ricevuto tante porte in faccia. Allora il punto interrogativo che mi tormentava assiduamente era perché maì avrebbero dovuto rifiutarmi anche come semplice dipendente?
Quando cominciai a mandare il curriculum ero ormai al quarto mese di gravidanza e, ogni volta che mi presentavo ai colloqui, ero accolta con freddezza e assoluta indifferenza, venendo poi scartata con la solita e banale frase “le faremo sapere”. Chi avrebbe mai assunto una donna incinta, anche se era dotata di eccezionali capacità in questo campo?
Non mi persi d’animo, continuai comunque a cercare un lavoro ininterrottamente. Nessuno mi assunse, però, e alla fine arrivai alla fine della gravidanza grazie all’aiuto di mio marito. Ho lottato tanto senza riuscire ad eccellere, ma ora sono qui e finalmente posso aiutare dei ragazzi che hanno bisogno di fiducia, cosa che nessuno dei posti in cui avevo fatto domanda mi ha mai offerto.
Inizialmente avevo devo che questo specchio apparentemente banale fosse molto importante per me, senza spiegarne il motivo. Mi è stato regalato tanti anni fa dalla mia amata nonna che mi ripeteva sempre “Testa alta e sii fiera di quello che vedi riflesso”.
Quindi cari ragazzi, ora mi rivolgo direttamente a voi, non vergognatevi mai di quello che siete, anche se finora non siete fieri del vostro passato e dei vostri sbagli. Nella vita non bisogna mai rassegnarsi e arrendersi alla mediocrità, bensi uscire da quella “zona grigia” in cui tutto è abitudine e avere il coraggio di ribellarsi.”
Vostra psicologa, o meglio, amica.

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