Terza Edizione del Concorso Letterario Nazionale di Monselice “Monselice per le Pari Opportunità – Davanti allo specchio: immagine di lei“

Quando faccio la doccia chiudo sempre la porta del bagno. Non importa se sono in
casa da sola, non è questione di privacy: c’è qualcosa di rituale, nella sequenza dei
gesti, nell’acqua che ti scorre addosso, nella meticolosa attenzione che il corpo
richiede, ogni anno un po’ di più.
Da ragazzina io e il mio corpo ci ignoravamo, vivendo il più possibile in parallelo: con
gli anni è diventato impossibile, lui reclama attenzioni, dedizione, cura.
Il tempo passa, ed ecco il secondo motivo per cui chiudo sempre la porta: mi piace
che il vapore della doccia appanni lo specchio; mi piace che la mia immagine mi
venga restituita a poco a poco, man mano che l’umidità si ritira.


Mi metto a fuoco lentamente, prima appare una clavicola, poi il naso, ecco un
orecchio, e infine ci sono io, completa.
Fabrizio dice che l’idea gliel’ho fatta venire io la volta che gliene ho parlato: ha
cominciato a farci caso anche lui, quando usciva dalla doccia, a questo ricomparire a
pezzi del corpo nello specchio. E siccome Fabrizio è Fabrizio, il pensiero è diventato
idea e l’idea è diventata una mostra fotografica.
Lo ammetto, lo trovo ancora strano; non sono del tutto a mio agio con questa cosa,
anche se ne parliamo da mesi e conosco ogni fase del progetto come se fosse una
mia creatura.


Mi guardo e la mia immagine riflessa mi sorride: ecco la leggera asimmetria delle
labbra, quell’angolo destro più alto rispetto al sinistro, l’inevitabile rughetta al lato
della bocca. Sono io, sono proprio io.
Anche agli altri sarà così evidente che è la mia, la bocca che occupa da sola un
metro quadro di parete della galleria?
La mia bocca in un gigantesco primo piano, lasciato, anzi volontariamente esposto
sotto gli occhi di tutti.
Quando ho visto la stampa per la prima volta l’istinto è stato di dire “No! Non
penserai davvero di appenderla?”. Perchè quella sono io, è la mia ruga, è il mio
incisivo scheggiato quello che normalmente si intravede e qui invece è chiarissimo,
impossibile non notarlo, enorme in questa enorme foto.


Non è un’idea particolarmente nuova, credo. In realtà non lo so, se sia nuova o
meno o se questo importi. Fabrizio ha provato a spiegare, una volta, come l’arte
scriva e riscriva la vita e la reinventi anche quando sembra imitare se stessa; io e
sua moglie eravamo troppo impegnate a ingozzarci di biscottini allo zenzero per
prestare la dovuta attenzione. Che sia una novità o meno, stasera si va in scena,
come dice Elena.
Non mi hanno voluto svelare se ci saranno anche “parti” di lei in questa mostra,ma
sono certa che si sia fatta convincere a prestare all’arte di lui almeno i suoi
indomabili ricci. Sono inconfondibili, quando era giovane erano una nuvola vaporosa
e senza peso; gli anni appesantiscono anche i capelli, mi sa.
Mi guardo ancora allo specchio, ora completamente a fuoco, e ripenso a
com’eravamo, tutti noi, quando tutto era ancora liscio come una pagina bianca. Ora
sono un corpo stazzonato, stropicciato, segnato. Vissuto, come ha sottolineato

Fabrizio tra uno scatto e l’altro.
“Non guardarti con gli occhi di vent’anni fa, che non ha senso. Non ti irrigidire, che ti
vedo. Smetti di pensare a me, non mi considerare neanche…” e intanto girava
intorno e scattava, mentre io cercavo di obbedire, di non sforzarmi di tirare indietro la
pancia o di non corrugare la fronte.
“Dove sei? Fab sta raddrizzando le foto per la decima volta. Mi sa che lo uccido.”
Il messaggio dev’essere arrivato mentre guidavo, ho dovuto parcheggiare lontano e
ormai l’inaugurazione è in pieno svolgimento.
Non ci sono folle oceaniche, ma gruppetti di persone che sciamano di qua e di là con
un bicchiere in mano.
La serata è iniziata da poco, il buffet è ancora fornito e piuttosto affollato.
Credevo di essere pronta, ma non lo sono: ritrovarmi all’improvviso davanti alla mia
stessa bocca, ora intitolata, dice il cartellino, “Segreto svelato”, mi stranisce.
Ogni foto ha un nome, parte integrante del progetto. Fabrizio inquadra e scatta,
Elena sceglie i titoli.
“Che ne dici? ‘Amica che ride perchè le ho fatto una battutaccia’ suonava male…”,
eccola al mio fianco, sorridente e tesa.
Continua ad arrivare gente, Elena mi abbraccia veloce e scivola ad accogliere tutti;
Fabrizio è dall’altra parte della sala, vicino a una serie di quadretti più piccoli.
Mi guardo intorno: adesso posso ammetterlo, non avevo davvero fiducia in questa
cosa, temevo venisse fuori una cosa un po’ da catalogo di chirurgia plastica:
venghino siore e siori, guardate cosa può fare il tempo al corpo umano, presto
correte ai ripari!
E invece ogni foto è una piccola storia: occhi, mani, ginocchia, scapole, glutei,
pance, capelli. La luce colpisce le macchie della pelle, le pieghe, si intravedono le
vene o le ossa. In nessuna delle opere c’è molto più di un dettaglio, eppure le
immagini sono vive e calde. E bellissime.
Fabrizio mi raggiunge e mi chiede, con un vago gesto circolare, se ho già visto
Elena. Certo che sì, le piccole stampe sulla destra che avevo notato ritraggono,
ognuna, un ricciolo di capelli, una ciocca, o una porzione di chioma arruffata che per
me sono inconfondibili.
Lo sapevo, che l’avrei trovata.
“E’ una mostra stupenda”, dico, e sono sincera.
“E tu non ti fidavi!”, dice lui e ride e sa benissimo di aver ragione.
Giro per la sala, ammirata, riconosco me stessa qua e là; dopo il primo momento di
shock ora mi sembra tutto meno assurdo, ma è un po’ come se stessi nascondendo
un segreto: lei, col papillon blu, che osserva assorto quella pancia femminile, lo sa
che “La tana del Bianconiglio”, l’ombelico in primo piano, sono io?
Lo sfacelo dei miei addominali ora è di dominio pubblico, per fortuna in forma
anonima.
“…carica erotica. Forse appena troppo scoperto, il gioco…”. Papillon blu indica “La
tana” all’uomo che gli sta al fianco. Sta parlando di me!

“Scoperto sì, ma non troppo. E’ carnale, sensuale, ma allo stesso tempo poetico.
Non scade nella volgarità”, commenta l’altro.
“Vero. Mai volgare. Hai detto bene, carnale, sì.” Papillon blu si sfrega la barba,
senza staccare gli occhi dal MIO ombelico. Canale, ma poetico, a quanto pare.
Mi allontano prima che possano aggiungere qualche commento meno lusinghiero.
C’è qualcosa di diverso nell’aria, ora: non ho più paura che qualcuno mi “scopra”,
non evito più di soffermarmi vicino alle mie foto per evitare di essere riconosciuta in
qualche modo.
Fabrizio ha fatto una delle sue magie: come il vapore sullo specchio, ha isolato parti
di me e le ha messe a fuoco. Poi ha aggiunto l’ingrediente segreto, l’occhio
dell’artista che vede oltre quello che vedono tutti, oltre quello che vedo io ogni
giorno, e ha dato a tutto una nuova luce.
Elena mi raggiunge al buffet e mi sussurra: “Hai visto?! Sta andando bene.” Si
guarda intorno e aggiunge, a voce ancora più bassa: “Mi fa ancora un po’ senso
l’idea che qualcuno compri il mio malleolo, ma insomma. E’ anche…”
“…bello”, concludo io per tutte e due.
Le strizzo l’occhio, ci capiamo al volo: le parole sono imprecise, la sensazione è più
profonda e articolata, ma adesso non c’è il tempo per farla decantare e tradurla, ci
accontentiamo di scambiarci uno sguardo complice e rimandiamo il discorso a un
altro momento.
Lei torna a prendersi cura dei visitatori, io continuo il mio viaggio alla scoperta di un
nuovo sguardo su di me e sugli altri.
“La tana del Bianconiglio” ha già il bollino blu sul cartellino, significa che è stato
venduto, chissà dove andrà a finire. Mi piace pensare che qualcuno ci abbia visto
qualcosa, mi piace pensare che quello che per me era solo un corpo ogni giorno più
imperfetto, abbia qualcosa da dire.
Non vedo l’ora di andare a casa, fare una doccia calda e scoprire cosa mi mostrerà il
vapore dissolvendosi un po’ alla volta.

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